giovedì 23 giugno 2011

L'ascesa dell'imprenditorialità e il ruolo dei giovani (parte II)

Nella parte I del post che ho aperto un paio di settimane fa sul rapporto tra giovani e imprenditorialità ci siamo lasciati constatando come spesso sia difficile per le grandi imprese farsi agenti di cambiamento e trasformazione economica. Da chi dipende dunque il cambiamento? Rispondo a seguire e parto da tale riflessione per riallacciarmi al tema giovani e imprenditorialità.

Giovani e imprenditorialità
La risposta è presto data. La vera responsabilità del cambiamento sta sulle spalle delle nuove imprese e degli imprenditori che le creano. Ed è una responsabilità impegnativa che richiede una certa dose di coraggio. Perché chi innova si dovrà scontrare con un sistema inevitabilmente scettico che, in quanto espressione del vecchio, farà fatica a riconoscere il nuovo o a riconoscerne il valore, e cercherà altresì di difendersi contro quella che Schumpeter descriveva come l’onda di distruzione creatrice. Per accollarsi questa responsabilità serve dunque una dose di coraggio non comune. Non a caso Richard Branson definisce l’imprenditore come un avventuriero, qualcuno che ha il coraggio di addentrarsi in sentieri che la maggior parte delle persone non osano esplorare.



In questa luce non sorprende che nell’ultimo rapporto prodotto dal GEM si identifichi nell’avversione al rischio il principale fattore di impedimento all’imprenditorialità. E questo ci permette inoltre di capire perché il rapporto tra imprenditorialità e giovani sia così stretto. Perché se c’è un risultato robusto negli studi di psicologia sociale è che l’avversione al rischio cresce con l’età, poichè più si avanza nella propria vita personale e professionale più è alto il costo opportunità di mettersi in gioco.

Bernard Shaw diceva che l’uomo ragionevole si adatta al mondo mentre l’uomo irragionevole adatta il mondo a sé. Dunque tutto il progresso dipende dall’uomo irragionevole. E’ questa la sana irragionevolezza - Steve Jobs probabilmente parlerebbe di foolishness (o forse è meglio chiamarla audacia sfrontata) - di cui la giovinezza è ricca. E' grosso modo proprio questo il principale messaggio che esce dalla tavola rotonda di giovani imprenditori che si è tenuta l'anno scorso a Stanford e di cui trovate qui sotto un breve resoconto video. Quando si è giovani è più naturale prendere decisioni non convenzionali, semplicemente perchè non si è ancora imbrigliati in logiche di settore o modi consolidati di fare le cose.



Qualche anno fa a Silicon Valley Eric Schmidt, Chairman di Google e Micheal Moritz di Sequoia, il più potente VC al mondo vennero intervistati in un pane dal titolo “Why VCs Love Young Blood”. In quell’occasione Moritz incominciò a snocciolare una serie di aziende impressionanti da Apple a Google, a Microsoft a Facebook, a Sun a Oracle a Ebay, Groupon. Da cosa sono accumunate queste imprese....? Facile. Sono state tutte fondate da ragazzi tra 20 e 30 anni!

Per curiosità ho fatto un piccolo esercizio analogo concentrandomi sull'Italia. Molto banalmente ho isolato le (poche) start-up italiane che oggi vengono da tutti considerate come le exit di maggior successo degli ultimi anni, ovverosia imprese partecipate da capitale di rischio che hanno garantito ritorni multimilionari sul capitale investito. Che cosa ho scoperto?

Ve lo rivelerò nella terza e ultima parte di questo post. Online a breve. Ciao!

mercoledì 8 giugno 2011

L'ascesa dell'imprenditorialità e il ruolo dei giovani (parte I)

Oggi vorrei riproporre alcuni spunti di riflessione sulla relazione che intercorre tra l'essere giovani e il fare impresa. Scrivo "riproporre" perchè si tratta di idee che ho avuto modo di discutere in occasione di alcuni recenti convegni e che desidero oggi sedimentare attraverso il blog. Parto da una osservazione di carattere macro - ovverosia l'ascesa a livello globale del tema imprenditorialità (parte I), per poi concentrarmi in modo più specifico sul rapporto giovani-nuova impresa (parte II).

Negli ultimi ani sono letteralmente fiorite iniziative volte a promuovere l’imprenditorialità. Penso ad esempio alla Start Up Initiative di Intesa, al programma Fulbright Best che porta giovani imprenditori in Silicon Valey, a Mind the Bridge lanciato da Marco Marinucci per premiare idee di impresa innovative, a  Working Capital unitamente al Premio Nazionale per l'Innovazione e al più recente InnovActLab. E’ addirittura nata grazie al supporto della Kaufman Foundation una vera e propria settimana dell’imprenditorialità a livello mondiale la GEW.

Anche i media hanno avuto la loro parte. Sono proliferate negli ultimi 5 anni  trasmissioni di grande successo dedicate a questo tema. Dragon Den è un format in cui gruppi di giovani devono presentare la loro idea a investitori professionali. Nato in Giappone è oggi trasmesso in 12 paesi.



In The Shark Tank prodotto dalla ABC un gruppo di startup ha pochi minuti per convincere un panel di investitori. E’ appena partita la seconda stagione. The Apprentice ha prodotto numerosi spinoffs. Anche in Cina è stata lanciata una trasmissione in cui un gruppo di imprenditori ha l’opportunità di ottenere 1.3 milioni di finanziamenti per la propria idea.


Insomma, si direbbe proprio che l’imprenditorialità sia divenuta mainstream. La domanda sorge dunque spontanea. Come mai l'interesse pubblico e provato ha subito negli utlimi anni questa accelerazione?

Si possono probabilmente immaginare molteplici concause alla base di questa catalizzazione di interesse attorno all’imprenditorialità ma probabilmente vi è un fattore che più di ogni altro ha giocato un ruolo determinate. Ed è il fatto che raramente le economie capitalistiche hanno avvertito un bisogno di rinnovamento così intenso come in questo periodo storico, in cui le crisi finanziaria ha messo a nudo i punti deboli di settori industriali maturi e in cui la globalizzazione richiede ripensamenti profondi delle filiere del valore. Il punto è che le grandi imprese o più in generale le imprese esistenti spesso (il più delle volte) non sono attrezzate per rispondere con sistematicità a questo bisogno di rinnovamento. Perché il rinnovamento implica per sua stessa natura una messa in discussione dello status quo e dunque un ripensamento delle basi del proprio successo. Questa considerazione è indispensabile per apprezzare la relazione tra gioavani e nuova impresa. Partiremo da qui nella seconda parte di questo post.