martedì 29 novembre 2011

Imprenditorialità e social marketing: leva a costo zero?

È inutile ribadire quanto Facebook, Twitter, Tumblr, Google+ e altri mezzi di comunicazione e aggregazione sociali siano oramai integrati nel tessuto comportamentale di qualunque persona con un minimo di informatizzazione. Né è necessario snocciolare dati sul loro utilizzo, il numero di utenti e così via.

Quel che mi interessa è: quanto valgono? Quanto sono utili?

La vulgata vuole che permettano un marketing a costo zero. Fantastico. Tutti gli imprenditori o startupper che, per definizione/eccellenza, fanno di bootstrapping virtù, allora dovrebbero aver trovato la soluzione al grande grattacapo che si sostanzia nella domanda "come faccio a farmi conoscere?"
Il mondo del music business (se tale possiamo ancora definirlo) fu il primo a cavalcare quest'onda qualche anno addietro. I successi di Arctic Monkeys e Lily Allen (qui) a cavallo del 2005 e 2006 sembravano aver mostrato all'industria musicale, strangolata dalla pirateria (sarà poi vero?), la strada maestra per la rinascita: tagliare o addirittura azzerare i costi in A&R e sfruttare il mezzo sociale come piattaforma di verifica del successo dell'artista, minimizzando, così, il rischio imprenditoriale e di mercato. Tutto perfetto, tutti contenti e tutti a sperticarsi sulla necessità della presenza sui social network. La conseguenza: tutti si sono lanciati sul social marketing: dalla grande multinazionale petrolchimica al fruttivendolo. Il ragionamento: "tanto che ci vuole? Bastano 5 minuti a creare un account Facebook e Twitter..."

Nel corso di New Venture Formation che ho insegnato questo semestre mi sono accorto che i business plan dei miei studenti includono tutti, a diversi livelli (solitamente piuttosto elevati), una forma di promozione su social network. E tutti, puntualmente, danno per scontato che il successo sia garantito, che il passaparola funzioni, che la crescita degli utenti/clienti sia "naturale"..
Soprattutto: che sia (quasi del tutto) GRATIS.

Un esempio lampante: un gruppo di miei studenti che sta lavorando ad un'applicazione per smartphone per la vendita di libri usati in campus ha messo a budget in costi di marketing e pubblicità 120 dollari all'anno.

120 dollari (sic...)

In viaggio di ritorno post Thanksgiving mi sono imbattuto nel nuovo numero di Inc. dove si parla proprio di questo e si citano numeri ed esempi.
Seguite per caso l'account Twitter di qualche celebrità e ha twittato un giorno un link ad un prodotto che ha provato, un locale nel quale è stato/a? Quasi sicuramente dietro a quell'operazione c'è SponsoredTweets, servizio che permette di ottenere un tweet di un personaggio famoso (e di conseguenza con molti follower) con un link al proprio sito. Un esempio: un tweet di Lindsay Lohan (circa 2,5 milioni di follower) per un sito di gaming online orientato alla popolazione del college americana è costato 2353 dollari. Il risultato? 4500 click diretti dal tweet, 500 nuovi iscritti, parte dei quali (non dichiarato dalla società) utilizzatori frequenti. Circa 4,70 dollari a nuovo iscritto.

Gratis? Non proprio...

E il mantenimento costante degli account sui diversi media, da parte di una società di professionisti della comunicazione può costare da qualche centinaio di dollari a svariate migliaia al mese, soprattutto se si vogliono organizzare contest, offerte, etc.

Chiaro che si può anche pensare di fare tutto "in casa", ma le probabilità di
1) investire tempo nella gestione e nel mantenimento degli account e ottenere pressoché nulli ritorni o
2) non investire tempo alcuno e, pertanto, non ottenere alcun ritorno
sono prossime al 100%.

Ma la vera domanda a monte è: ma siamo proprio sicuri che serva una pagina facebook (quindi aperta, potenzialmente, ai commenti di chiunque) ad una multinazionale del petrolchimico? E al fruttivendolo sotto casa?

sabato 12 novembre 2011

Imprenditorialità sociale (parte II)

Nella prima parte di questo post ci eravamo lasciati con la promessa di gettare luce sugli imprenditori sociali, protagonisti di un trend in costante ascesa. Basti pensare che solo cinque anni fa il concetto di imprenditore sociale era pressoché sconosciuto. Se si utilizza Google come barometro del cambiamento ci si rende rapidamente conto di quanto le cose siano cambiate.  Ecco che cosa ha restituito una ricerca del termine “social entrepreneur” su Google  nel corso degli ultimi anni:

Social Entrepreneur su Google

Anno
Hits
2006
12.400
2007
100.000
2009
7.500.000
2011
68.000.000

L'ascesa è impressionante!

Altre osservazioni che confermano e supportano questo trend:
- A livello accademico negli ultimi 5-6 anni sono letteralmente fioriti i corsi  universitari che si occupano di imprenditorialità sociale. Penso ad esempio alle specializzazioni in imprenditorialità sociale offerte da scuole come Oxford, Duke, Stanford etc.
- Si sono inoltre moltiplicate le fondazioni che supportano, sostengono e celebrano gli imprenditori sociali e le loro idee. Mi vengono in mente, tra le altre, la Schwab Foundation (creata da Klaus and Hilde Schwab, già ideatori del World Economic Forum), la Skoll Foundation (del co-fondatore di ebay) o la Ashoka Foundation.
- Sempre più numerosi i fondi di capitale di rischio no-profit dedicati all’imprenditorialità sociale. Tra i più noti penso ad Acumen Fund negli States oppure l’esperienza italiana di Luciano Balbo con Oltreventure
- Nel 2006 viene conferito il Nobel per la pace a  Muhammad Yunus, imprenditore sociale per eccellenza, inventore del microcredito e di Grameen Bank.

Muhammad Yunus

Alla luce di questi indicatori di un movimento sempre più forte e diffuso che cosa si intende dunque con imprenditori sociali? Rispondo riportandovi alcune tra le definizioni più ricorrenti e diffuse:

Ashoka Foundation: “Gli imprenditori sociali sono agenti del cambiamento per il settore sociale. Sono guidati dalla propria missione, determinati a raggiungere risultati e impegnati a mantenere la propria responsabilità di fronte alle comunità che servono. Gli imprenditori sociali effettuano una trasformazione sistemica affrontando non solo il problema, ma anche le sue radici”
Schwab Foundation “Un imprenditore sociale è un tipo di imprenditore che fa uso dell’innovazione per migliorare il mondo attraverso soluzioni di mercato. Gli imprenditori sociali sfruttano le proprie competenze e la propria creatività per cercare di risolvere un problema sociale urgente, con l’intento di avere un impatto positivo.”
Public Innovators “Qui si definisce l’imprenditoria sociale come la pratica di rispondere ai fallimenti del mercato con innovazioni trasformative e finanziariamente sostenibili volte alla soluzione dei problemi sociali. Le tre componenti essenziali dell’imprenditoria sociale sono: 1) risposta ai fallimenti del mercato, 2) innovazione trasformativa e 3) sostenibilità finanziaria.”

Qualche esempio? 

Piattaforma online basata sul principio del crowdfunding per garantire finanziamenti e lineo di crediti in paesi in via di sviluppo. Creata da Jessica Jackley 6 anni fa ad aggi ha attratto micro-finanziamenti da parte di oltre 700.000 persone per un ammontare complessivo di 240.000000 di capitale raccolto. La cosa più sorprendente è il tasso di solvibilità degli imprenditori finanziati, superiore al 99%!. Vi consiglio questo video toccante, in cui racconta Kiva, dall’idea ai risultati straordinari di oggi




Creata da Charles Bests, ex insegnante di scuole superiori per mettere in contatto le scuole con una moltitudine di micro-filantropi che pagano spese di cancelleria, ristrutturazione etc. sulla base delle carenze specifiche (certificate dal sito) segnalate da insegnanti e formatori. Ad oggi si contano quasi 90.000.000 di dollari raccolti e 210.000 progetti scolastici finanziati. In cambio i sostenitori ricevono una foto della classe con un ringraziamento firmato da tutti gli studenti!


Wendy Koepp l’ha creata a partire dalla tesi triennale. Oggi  conta 46000 applications all’anno di neolaureati che dedicano due anni della loro vita professionale all’insegnamento in scuole “difficili” (licei - per lo più in aree rurali). Teach For America ha mobilizzato 17.000 laureati in alcune delle scuole più complicate del paese.

 Wendy Koepp


Sono esempi edificanti che mostrano come la strada sia aperta e percorribile. Ci dicono anche che possiamo e dobbiamo fare di più per promuovere questo fenomeno. Come? Qualche idea ce l’ho e la condividerò con vio nel prossimo post. Ciao