giovedì 6 dicembre 2012

Il fascino discreto della celebrità


"Entrepreneurs who start and build new businesses are more celebrated than studied" (Amar Bhide, 1991)

Il post odierno è dedicato ad un tema su cui mi sono espresso già in passato ma rispetto al quale desidero fare qualche precisazione. In un post di qualche tempo fa ho sottolineato l’importanza di dare visibilità alle storie imprenditoriali (di successo e non), celebrandone i protagonisti. Ho anche osservato che negli ultimi anni si è fatto tanto in questo senso, al punto che si può oggi parlare, dopo il tracollo del fenomeno dot.com di inizio XXI secolo, di una nuova ascesa dell’imprenditorialità a livello internazionale.


La ribalta delle startup è stata tale negli ultimi anni da diventare persino oggetto di interesse da parte di Hollywood, che ha trasformato la storia imprenditoriale di Mark Zuckerberg in uno dei maggior successi cinematografici del 2011. E' poi noto che star mediatiche e icone pop del calibro di Justin Timberlake, MC Hammer, Lady Gaga e Justin Bieber investono sempre più assiduamente in startup tecnologiche. A livello governativo la Casa Bianca si è formalmente impegnata nel progetto Startup America e in Italia per la prima volta nella storia del paese il governo ha varato attraverso il progetto “Restart, Italia!” un vero e proprio piano di sviluppo imperniato sulle startup. Il canale Bravo ha ideato e prodotto un reality show dal titolo “Start-Ups: Silicon Valley” che ha esordito il 5 Novembre 2012 sulle TV americane, mentre in Italia è partita a Settembre di quest’anno la versione nostrana di “The Apprentice”, con Briatore nella parte del Boss in cerca di intraprendenti talenti. 


Non vi è dubbio che tutto questo hype abbia un importante valore segnaletico, nel senso che contribuisce a rendere più visibile e probabilmente più entusiasmante il fare impresa come percorso professionale e personale alternativo a traiettorie di carriera probabilmente più sicure (manager, consulente, banchiere, etc.),  ma anche più limitate (e limitanti) nelle loro ricadute allargate. D’altro canto vi è anche il rischio, forse sottile ma  proprio per questo più subdolo, di far passare il messaggio illusorio che creare un’azienda sia la strada “facile” e alla portate di tutti per diventare rapidamente ricchi e famosi. 

La verità è l’esatto contrario. Questo tipo di percezione non solo è illusoria ma rischia di nuocere all'intero ecosistema imprenditoriale alimentando il culto della persona, inflazionando il sistema di progetti senza una solida e reale spinta motivazionale, generando “rumore di fondo”  e frustrando l’allocazione corretta di talento e capacità. Per circoscrivere questo possibile effetto collaterale è importante demistificare il processo imprenditoriale, spogliandolo degli orpelli edulcorati sui cui i media tendono a far leva per imbastire storie di facile appeal, raccontandolo invece con la sincerità - talora  brutale - che è propria di un percorso duro, tortuoso, irto di rischi ma anche sorprendente e gratificante se correttamente interpretato.   Come ha recentemente sottolineato il popolare autore di The Lean Startup Eric Reis: “l’imprenditorialità non è divertente, non è sexy e non è confortevole. E’ dura e noiosa, ma questa parte della storia non è mai mostrata nel film”.

domenica 4 novembre 2012

Picasso, van Gogh e trappole per topi



"Build a better mousetrap, and the world will beat a path to your door
Ralph Waldo Emerson

La citazione con cui apro questo post è un classico dell’insegnamento dell’imprenditorialità, menzionata in pressoché ogni manuale per descrivere cosa l’imprenditorialità NON è. La si deve al filosofo e scrittore americano Ralph Waldo Emerson e tradotta in italiano suona grosso modo così: Costruisci una trappola per topi migliore e il mondo si farà strada per raggiungerti.  Per quanto un pensatore brillante Ralph Waldo Emerson aveva evidentemente una visione piuttosto naïve dell’innovazione e delle difficoltà che bisogna sormontare per fare accettare le proprie idee, per quanto straordinarie, dal mercato (entità quest'ultima scettica per antonomasia, abitudinaria e spessa appesantita da interessi precostituiti). Si potrebbe infatti riformulare provocatoriamente la frase di Emerson al contrario: Costruisci una trappola per topi migliore, e nessuno si farà strada per raggiungerti…a meno che. In quel “a meno che” c’è il distinguo fondamentale tra avere successo oppure no. L’imprenditore non aspetta che il mondo si faccia strada ma esce e si costruisce da solo la strada che lo porterà a far scoprire ed apprezzare al mondo la sua trappola per topi.


E’ importante tenere a mente questo distinguo ogni qualvolta si cerca di spiegare il successo di qualcosa o qualcuno. Quando si cerca, ad esempio, di spiegare perché van Gogh è morto pressoché in miseria mentre Picasso  ha lasciato beni e proprietà per un valore stimato di circa 700 milioni di euro. Ci aiuta in questo esercizio Gregory Berns (professore di scienze comportamentali della Emory University) nella parte finale di Iconoclast, un interessante saggio in cui mi sono recentemente imbattuto.  La tesi centrale di Berns è che Picasso, a differenza di van Gogh, avesse una straordinaria capacità di immergersi attivamente in una gran varietà di circoli e contesti sociali attraverso cui mobilizzava attenzione e dava visibilità ai propri lavori. Viceversa, l’unico contatto tra Van Gogh e il mondo dell’arte era mediato dal fratello, troppo poco perché il mondo si accorgesse di lui.


Ovviamente altri fattori contribuirono a creare questo profondissimo divario tra lo straordinario successo dell’uno e la fine squattrinata dell’altro, non ultima la malattia mentale di van Gogh. Ma c’è una lezione semplice e fondamentale racchiusa in questa storia  per chiunque si affacci sul mercato con un’innovazione: mettetevi in moto perché NESSUNO si farà strada per raggiungervi, neanche se la vostra innovazione è uno dei quadri più emozionanti del 19° secolo.


Pace all’anima di Emerson.

sabato 20 ottobre 2012

L'imprenditoria femminile (parte II)


Proseguiamo oggi l’analisi del fenomeno imprenditoria femminile con la seconda parte del post tratto dalla tesi di laurea che Lucia Ragazzi sta dedicando  a questo tema. Dopo una panoramica macro oggi presentiamo qualche dato sulle caratteristiche delle donne imprenditrici

Il profilo delle donne imprenditrici
Dal rapporto “ Gender equality in education, employment and entrepreneurship: final report to the mcm 2012 ” e dai rapporti di Unionecamere  emerge che le donne imprenditrici possono essere descritte considerando tre fattori chiave:

• le motivazioni che spingono le donne ad intraprendere la strada imprenditoriale: la maggior parte lo fa per necessità, e per ottenere maggiore flessibilità in termini di tempo.

Fonte: Eurostat, Factor of Business Success Survey


Fonte: Eurostat, Factor of Business Success Survey

Il livello di istruzione elevato ma al quale si contrappone una minore esperienza manageriale. 

Fonte: Eurostat, idagine sulla forza lavoro, stime dall’ indagine sul “Income and program partecipation 2008” per gli Stati Uniti e sulla forza lavoro 2010 per gli altri paesi.
• il livello retributivo, più basso per le donne

 Fonte: OECD stime dal European Union Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC), 2008 wave Survey of Income and Program Participation 2008 for United States, Household, Income and Labour Dynamics in Australia (HILDA) 2008 wave

Tale differenza si riduce se si considerano gli utili per ore lavorate, in quanto, così facendo, si considera come le donne dedichino meno tempo all'attività  Un altro fattore importante da considerare è la minore propensione al rischio. Un’ alta avversione al rischio implica, infatti, bassi profitti, minori probabilità di incorrere in perdite e poche probabilità di ottenere alti rendimenti. In molti paesi inoltre, il gap si riduce ulteriormente se si considerano solo le imprenditrici con dipendenti.

Chiudiamo segnalandovi questo interessante link dedicato da Business Insider al profilo di 50 donne imprenditrici che hanno raggiunto risultati eccellenti a livello internazionale e che possono pertanto rappresentare un modello di riferimento per chi si appresti ad avviare un progetto imprenditoriale. Per la terza e ultima parte di questa serie di post sull'imprenditoria femminile cliccate qui.

50 imprenditrici che possono ispirarci


giovedì 11 ottobre 2012

L'imprenditoria femminile (parte I)


Che caratteristiche hanno le donne imprenditrici? Quante sono? In che settori operano? Che cosa le differenzia rispetto ai pari dell’altro sesso? Qual è la situazione italiana? In che modo si delinea il processo imprenditoriale quando protagoniste di tale processo sono le donne? Sono alcune delle interessanti domande a cui sta cercando di dare risposta Lucia Ragazzi che sta svolgendo una tesi su questi temi sotto la mia supervisione. Colgo dunque questa opportunità per condividere con voi alcune dei risultati che stanno emergendo dallo studio e che Lucia ha gentilmente sintetizzato per noi in questo post. A seguire trovate la prima parte. La seconda parte sarà presto online, assieme ad alcune delle interviste che abbiamo condotto.  



Le imprese in rosa in Italia e nel mondo
In Italia le imprese “in rosa” confermano di avere una marcia in più di quelle dei colleghi uomini e, nonostante i colpi della crisi, continuano a crescere ad un ritmo superiore a quello medio dell’imprenditoria nazionale. Tra giugno 2010 e giugno 2011, infatti, l’universo al femminile delle imprese italiane è aumentato di circa 9.000 unità, pari ad un tasso di crescita dello 0,7% contro lo 0,2% dei colleghi maschi, a fronte di una crescita media del tessuto imprenditoriale nazionale dello 0,3%. Al 2011, le imprese femminili fotografate dall’osservatorio sull’imprenditoria femminile di Unioncamere risultano essere circa 1.500.000 pari a circa il 24% del totale delle imprese e fanno guadagnare all’ Italia il primato in Europa. Proprio l’Italia, che in tanti settori legati all’economia, al lavoro, alla politica, alla giustizia è l’ultima della classe, in questo caso è al primo posto in Europa. Fatto cento il numero delle donne occupate, 16,4 sono imprenditrici: una media che supera di gran lunga quella dell’area Euro (10,3%).

A livello globale, tuttavia, nonostante la crescente partecipazione delle donne nel mercato del lavoro avuta negli ultimi decenni, la percentuale di donne imprenditrici sul totale degli imprenditori rimane bassa anche se in aumento. Tale percentuale nei paesi dell’OECD attualmente, infatti, è di circa il 30% simile a quella dei paesi in via di sviluppo nonostante essi siano partiti da livelli numerici inferiori. 

Fonte: OECD sulla base dell’indagine sulla forza lavoro e sulle famiglie.

Osservando, poi,  il tasso di nascita delle imprese femminili negli ultimi 24 mesi e comparandolo a quello delle imprese maschili, si nota come il primo sia sostanzialmente più alto in quasi tutti i paesi presi in esame confermando il trend italiano.


 Fonte: Eurostat, idagine sulla forza lavoro, stime dall’ indagine sul “Income and program partecipation 2008” per gli Stati Uniti e sulla forza lavoro 2010 per gli altri paesi.

Queste analisi, condotte dall’ OECD, si basano tutte sulla definizione di impresa femminile, elaborata sulla base di una serie di indicatori, in base ai quali un’ impresa è definita “femminile” se le donne rappresentano la maggioranza della proprietà e di conseguenza controllano le decisioni strategiche circa il funzionamento e lo sviluppo del business. Ma quali sono le differenze e le caratteristiche chiave delle donne imprenditrici? Esistono tratti tipo o percorsi preferenziali che  portano le donne al fare impresa? Ne parleremo nella seconda parte di questo post. Coming soon! 

domenica 30 settembre 2012

Le opportunità imprenditoriali (parte II)


Oggi vorrei completare le riflessioni che avevo avviato la scorsa settimana con la parte I del post sulle opportunità imprenditoriali. Dunque che lezioni si traggono dal caso di Coleman, Shlotter e Osher? In primis questi esempi mostrano in modo efficace come il perseguimento di opportunità imprenditoriali comporti spesso la ricombinazione o l’impiego originale di fattori già presenti sul mercato del risorse, ma il cui utilizzo alternativo era sfuggito ai più. Così, nel caso di Coleman e Shlotter il nucleo della prima idea imprenditoriale consiste semplicemente nel ripensare in modo creativo l’utilizzo dei bastoncini luminosi, nella fattispecie impiegandoli come manici di lecca-lecca. Analogamente Osher e il suo team identificano nella creazione di spazzolini elettrici rotanti un modo originale di impiegare una tecnologia già implementata con successo in un altro mercato.  In altri termini, inserire il bastoncino luminoso nel lecca lecca, o il motore rotante nel manico degli spazzolini significa trovare uno spazio di applicazione nuovo ad una soluzione che esiste già. La casistica in tal senso è molto ricca. 

Il presupposto fondamentale che deve sussistere affinché questo avvenga è che alcune persone (i potenziali imprenditori) attribuiscano alle risorse un valore superiore a quello attribuito loro dai proprietari di tali risorse, cioè superiore al loro prezzo. Se infatti i proprietari condividessero la medesima valutazione, essi fisserebbero il prezzo delle risorse a livelli tali da annullare ogni opportunità di ritorno economico per i potenziali imprenditori.

In secondo luogo, i potenziali concorrenti non devono attribuire il medesimo valore alle (presunte) opportunità imprenditoriali: se così fosse essi competerebbero tra loro per appropriarsi del rendimento imprenditoriale dato dall'esistenza dell’opportunità. Di conseguenza il rendimento si appiattirebbe in modo tale da eliminare ogni incentivo al suo perseguimento. L’assunzione chiave alla base dell’esistenza di opportunità imprenditoriali è dunque data alla presenza di aspettative asimmetriche da parte dei differenti attori sul campo, in merito all'esistenza e al valore di opportunità imprenditoriali. Tali differenze riflettono l’incertezza caratterizzante l’ambiente competitivo in cui le imprese operano. Per effetto di tali differenze alcuni individui hanno aspettative in merito al valore di certe risorse che altre imprese non hanno, o perlomeno, non in modo così accurato.

A questo punto la domanda che ci si potrebbe legittimamente porre è la seguente: "Perché alcune persone hanno questa capacità di vedere modi alternativi di usare le risorse a disposizione?". Proverò a rispondere nel prossimo post!

venerdì 14 settembre 2012

Le opportunità imprenditoriali (parte I)

Oggi vorrei avviare un nuovo spazio di riflessione dedicato al tema dell’opportunità imprenditoriale. Che cos’è, come si manifesta, chi la riconosce e qual è il processo  attraverso cui l’opportunità viene perseguita. Un tema portante dell’imprenditorialità e ricco di spunti e stimoli. A questo scopo intendo avvalermi di una serie di mini casi da cui trarre di volta in volta spunti e stimoli. Il caso che porpongo oggi riguarda il tema della scoperta dell’opportunità. Una scoperta imprenditoriale ha luogo nel momento in cui qualcuno intuisce che un dato set di risorse può essere impiegato in modo migliore e/o diverso rispetto a quello attuale. Se tale intuizione viene implementata e si rivela corretta, l’individuo guadagna un profitto imprenditoriale.  L'affascinante storia che vi propongo a seguire offre una efficace illustrazione del concetto.

Mini Caso: Impiegare le risorse in modo originale
Avete mai pensato all’idea di una caramella luminosa? Tom Coleman e Bill Schottler, due postini, nella notte di Halloween del 1987 ebbero un’ispirazione. Videro un bambino con in mano uno di quei bastoncini luminosi verdi, molto usati anche durante i concerti. Per cos’altro potevano essere usati quegli oggetti? Montando un lecca-lecca in cima ad uno di questi bastoncini - rifletterono i due - la luce filtrerebbe attraverso la glassa creando un effetto strambo e divertente. In breve tempo Coleman e Schottler crearono il primo lecca-lecca luminoso, il LaserPop, che vendettero alla Cap Candy, una delle maggiori multinazionali del settore.

 La loro innovazione successiva - lo Spin Pop (lecca-lecca rotante) - fu un successo ancora più clamoroso. Anche in questo caso Tom Coleman e Bill Schottler partirono da un’osservazione semplice: leccare un lecca-lecca costa fatica. Forti di questa ‘pitagorica’ intuizione, essi svilupparono un porta lecca-lecca motorizzato in grado di ruotare la sfera di glassa alla pressione di un bottone (trovate sotto lo schema del brevetto originale da loro depositato).

Lo Spin Pop fu un grande successo, al punto da vendere oltre 60 milioni di pezzi nei 6 anni successivi. I ritorni di Coleman e Schlotter non sono noti ma alcune stime li attestano vicini ai 3 milioni di dollari annuali in pure royalties. Non  solo, lo Spin Pop era a sua volta destinato a generare una nuova eccezionale opportunità imprenditoriale. John Osher, che era alla guida della Cap Candy (l'azienda a cui Coleman e Schlotter avevano venduto lo spin pop ), era convito che lo Spin Pop avesse potenzialità applicative ancora inespresse. Quali altre funzioni d’uso poteva svolgere lo Spin Pop? Business Week offre un breve resoconto di come John e il suo team riconobbero una nuova opportunità:

“Sebbene non riescano a ricordare chi esattamente saltò fuori con l’idea, sono certi che l’idea nacque durante una delle loro passeggiate tra i corridoi di un Wal-Mart locale, dove si recavano periodicamente alla ricerca di ispirazioni. In quella occasione notarono che gli spazzolini elettrici costavano in media oltre 50 dollari e detenevano una quota di mercato degli spazzolini molto contenuta. Il loro ragionamento fu: Perché non realizziamo uno spazzolino elettrico da 5 dollari utilizzando la tecnologia Spin Pop?”

Il risultato fu lo Spinbrush (spazzolino rotante), ad oggi il più venduto spazzolino da denti  degli Stati Uniti. In meno di 4 anni Osher e il suo team trasformarono un investimento iniziale di 1.5 milioni di dollari in un business da 475 milioni di dollari, equivalente alla cifra pagata dalla Procter&Gamble per acquistare lo Spinbrush.

La storia dei due postini Coleman e Shlotter e successivamente di Osher è sorprendente nei suoi effetti imprenditoriali a cascata, ed è particolarmente interessante per le lezioni che permette di trarre e su cui mi concentrerò nella seconda parte di questo post. Nell’attesa potete dare un’occhiata all'interessante resoconto della vicenda offerto dal Daily Mail nel 2001. Lo trovate a seguire.  A presto!


martedì 24 luglio 2012

Creativi si diventa, non si nasce

Oggi desidero richiamare la vostra attenzione su un recente TED talk di David Kelley, mitico fondatore della altrettanto mitica IDEO e creatore della D. school, la scuola che aiuta sviluppare un approccio “laterale” e non convenzionale ai problemi. Il titolo del talk, segnalatomi dal mio college Lorenzo Massa (grazie Lorenzo!) è “How to Build your Creative Confidence”. Lo trovate qui sotto.


Nel video Kelley offre alcuni spunti di riflessione, a mio avviso assolutamente centrali, sull’importanza di liberare la propria creatività senza paura e inibizioni. Il messaggio di fondo è molto semplice: TUTTI SIAMO CREATIVI. MA NON TUTTI NE SIAMO CONSAPEVOLI. Vi sintetizzo i punti chiave qualora proprio non riusciate a trovare 15 minuti per godervi la presentazione nella sua interezza, e magari per invogliarvi a guardala:

1) La paura del giudizio altrui è spesso uno dei più forti freni all’espressione della nostra creatività. Bastano poche esperienze di giudizio negativo per reprimere, a volte in modo duraturo, la nostra propensione alla sperimentazione e al nuovo. 
2) Basta creare un po’ di fiducia nella propria capacità creativa per conquistare sicurezza in una sfera molto più ampia di attività. Kelley descrive questo percorso di conquista con l’espressione “guided mastery”, un concetto coniato dal celebre psicologo sociale Albert Bandura, per descrivere una sequenza di piccoli step per fronteggiare gradualmente le nostra inibizioni. Questo processo, se ben condotto, può secondo Kelley avere ripercussioni a più livelli: riduzione dell’ansia, capacità di gestione di errori, tenacia. In altre parola sicurezza nei propri mezzi e nella possibilità di concretizzare la propria visione del mondo.
3)Kelley offre infine un affascinante esempio su come sia possibile risolvere problemi utilizzando il design thinking.  L’esempio riguarda la storia di Doug Dietz, designer di macchine per il digital imaging. “Doug – racconta Kelley – era in ospedale che osservava una delle sue macchine quando si avvicina una famiglia. Con loro c’era una bambina terrorizzata e in lacrime”. In pratica  l’80% dei pazienti pediatrici era terrorizzato da quelle macchine e Doug ovviamente ne era molto dispiaciuto. In quel periodo Doug stava frequentando la D.school “stava imparando il nostro approccio al design thinking, all’empatia, alla prototipazione iterativa”. Fu in quel periodo che realizzò una soluzione a cui non aveva mai pensato.: trasformare la macchina MRI in una esperienza avventurosa. Doug dipinse le mura dell’ambulatorio, la macchina e fece fare agli operatori della macchina un corso presso formatori per bambini. “Ora quando i bambini vanno a fare gli esami – spiega Kelley nel video – tutto diviene una esperienze. Gli operatori della macchina spiegano ai bambini che stanno per entrare nella nave dei pirati, che è molto rumorosa e barcollante a causa del mare in tempesta. Gli dicono poi che devono stare molto fermi per evitare che i pirati cattivi li trovino”. Da quando questo approccio laterale al problema è stato implementato la percentuale di bambini sedati si è ridotta dal 80 al 10%. Alcuni di loro non vedono loro di ritornare.

Kelley chiude con una ammonizione che vi ripropongo: “Sarebbe meraviglioso se le persone non dividessero il mondo tra 'creativi' e 'non creativi - come se si trattasse di qualcosa conferito alla nascita - e se si rendessero conto che tutti sono naturalmente creativi e possono far volare le proprie idee".


giovedì 21 giugno 2012

Will It Be You?

Segnalo questa interessante iniziativa lanciata dalla Kauffman foundation a sostegno di tutti gli aspiranti imprenditori. Se vi ritenete tali fatevi un giro su www.willitbeyou.com Troverete numerose risorse e programmi di formazione interamente dedicati a chi vuole fare impresa.

 

martedì 29 maggio 2012

La Nave Incubatore

Un progetto di accelerazione d’impresa che porterà un gruppo di startuppari in giro per il mondo via mare in una grande nave incubatore. E’ questo in sintesi la curiosa ida di Unreasonable  at Sea, una iniziativa ideate da Luke Jones, già inventore di  “Semester at Sea” e Daniel Epstein, fondatore dell’ Unreasonable Insititute.

Nel corso di 100 giorni di navigazione gli imprenditori avranno accesso a un a gruppo selezionato di 20 mentori che li accompagneranno lungo il percorso.  14 le tappe previste dal viaggio in altrettante città dislocate su 4 continenti con l’obiettivo di presentare e testare il prodotto su più mercati e coinvolgere stakeholders internazionali. I progetti imprenditoriali selezionati hanno un comune denominatore: puntano a migliorare il mondo risolvendo problematiche sociali, ambientali o energetiche.

L’itinerario di navigazione avrà inizio a San Diego per poi procedere verso l’Asia, l’Africa e infine l’Europa, dove il viaggio avrà termine in quel di Barcellona dopo 25 miglia nautiche diu navigazione e tappe in Giappone, Cina, Ghana e Sud Africa. Guardate il video!


sabato 28 aprile 2012

Start-up and Run!

Oggi mentre facevo jogging riflettevo su una semplice constatazione. Una buona parte degli imprenditori che conosco praticano uno sport con regolarità. La maggioranza di questi  si dedica alla corsa, taluni sono veri e propri maratoneti nel senso letterale che corrono maratone o mezze maratone. Non so se questa mia osservazione del tutto occasionale trovi rispondenza in qualche ricerca o sia associata ad una regolarità statistica estendibile al di là del mio limitato e personalissimo campione di riferimento. Mi vengono in mente però almeno due spiegazioni per ritenere che questa associazione sia qualcosa di più di un fatto puramente casuale.

 La prima spiegazione è intuitiva e  ha che vedere con la semplice analogia tra la disciplina del correre e la disciplina del fare impresa. Per correre con assiduità e prepararsi ad affrontare lunghe distanze serve un attributo in primis: la tenacia. Ed è questo forse più di ogni altro anche l’aggettivo che meglio rappresenta l’imprenditore di successo. L’imprenditore tiene duro e non molla fino a quando non arriva in fondo, anche se completamente esausto. Pensate alla famosa battuta di Anita Roddick, fondatrice di The Body Shop: “Nobody talks of entrepreneurship as survival, but that's exactly what it is”. Del resto non è pensabile affrontare il percorso irto di ostacoli, difficoltà e sacrifici che il fare impresa comporta senza una ostinazione superiore alla media, quella ostinazione che per chi corre si traduce tipicamente in spirito di sacrificio e perseveranza negli allenamenti.


La seconda spiegazioni ha invece radici scientifiche e si basa su una serie di studi pionieristici condotti dal famoso psicologo cognitivo Arthur Kramer sul rapporto tra esercizio aerobico e facoltà cognitive.  In uno dei suoi esperimenti più noti, pubblicato su Nature, Kramer ha suddiviso un campione casuale di 124 persone sedentarie in due gruppi sottoposti a due diverse condizioni sperimentali per un periodo di 6 mesi: training aerobico e training anaerobico. I componenti del primo gruppo (training aerobico), passeggiavano ogni settimana per circa tre ore, i componenti del secondo gruppo (training anaerobico) dedicavano lo stesso ammontare di tempo ad attività di stretching ed esercizi tonificanti. Sebbene entrambe le attività siano utili alla forma fisica, l’allenamento aerobico ha un effetto benefico più spiccato sul cuore e accresce il flusso di sangue al cervello.

Alla fine dei 6 mesi entrambi i gruppi esibivano un sostanziale miglioramento nelle proprie condizioni di fitness. E fin qui nessuna sorpresa. Quello che invece appare più sorprendente è che il gruppo che si sottoponeva all’allenamento aerobico esibiva significativi e sistematici miglioramenti nelle capacità cognitive, in particolare nelle facoltà che coinvolgono funzioni esecutive come il multitasking. Stretching e esercizi tonificanti invece non apportavano alcun miglioramento significativo alle abilità cognitive. Il team di Kramer ha poi condotto uno studio successivo raccogliendo tutte le evidenze pubblicate dal 2001 in poi sul rapporto tra esercizio aerobico e facoltà cognitive confermando gli esiti del suo precedente studio.  

Dunque l’esercizio aerobico ha un effetto scientificamente fondato sulle abilità cognitive, in particolare sul multitasking ovvero la capacità di processare simultaneamente informazioni relativa ad ambiti decisionali eterogenei. Quale relazione tra questi risultati sperimentali  e l’imprenditorialità?. Semplice. Come chiunque startupparo sa molto bene, avviare una impresa pone quotidianamente e incessantemente l’imprenditore di fronte a decisioni e a problemi più disparati. La capacità di operare in multitasking, ovvero di operare cognitivamente su più fronti abbracciando simultaneamente situazioni e problemi anche molto diversi, diviene quindi un requisito assai prezioso. Un esercizio aerobico disciplinato e regolare, come per l’appunto una passeggiata o una corsetta periodica contribuiscono a potenziare questa facoltà, affinando così gli strumenti a disposizione dell’imprenditore per dare corso al proprio progetto. Il binomio corsa impresa è dunque  qualcosa di più di una analogia intuitiva.

Se proprio non siete convinti lasciativi almeno trasportare dalla coinvolgente narrazione di Harumi Murakami (il mio scrittore preferito, prima che scoprissi Nikos Kazantzakis)  che al rapporto tra corsa e creazione ha dedicato “L’arte di correre”, un delizioso libercolo che vi raccomando.


Se invece non avevate bisogno  di essere convinti perché siete già degli assidui praticanti permettetemi di suggerirvi “The Spirit of the Marathon”, un coinvolgente  e pluripremiato documentario sul correre come metafora dell’autorealizzazione raggiungibile attraverso passione e dedizione. 





Non avete ancora indossato le vostre scarpe da ginnastica? 

martedì 17 aprile 2012

Buone nuove per gli startupper italiani


Jobrapido, startup web-based per la ricerca/offerta di lavoro è stata acquisita dal gruppo DMGT per la cifra record di 30 milioni di euro. Jobrapido è un prodotto squisitamente italiano (sviluppato da un pugliese - Vito Lomele, incubato a Milano - un ottimo esempio di trasversalità italiana) che, in pochi anni, è riuscito ad imporsi come player di riferimento in un mercato caotico e viscoso come quello del lavoro. Complimenti a Vito per il grande successo e la tenacia: stando alle cifre riportate dal Corriere.it, a fronte di 24 milioni di euro di fatturato nel 2011, ben 6 sono rimasti come utile.
Il messaggio che il mondo degli investitori manda, in questo caso, è chiaro: una web-based startup può essere creata e sviluppata ovunque e se crea un impatto, gli investitori la andranno a cercare anche in capo al mondo (ovvero non è necessario essere nati in Silicon Valley). Il web soffre molto meno i lacciuoli e le zavorre che la macchina burocratica impone ai business tradizionali e permette una crescita rapida e immediatamente visibile ad una platea allargata.
Un altro messaggio importante è che la user-based entrepreneurship, ovvero, lo sviluppo d'impresa che scaturisce dalle inefficienze e frustrazioni provate come utenti/clienti è una strada maestra per la creazione di modelli di business funzionanti che partono, già alla nascita, con un minimo di validità testata sul mercato.
Ricollegandomi al post di Simone sull'imprinting organizzativo, queste imprese tendono ad avere un orientamento al mercato (e al cliente) molto maggiore rispetto ad imprese "technology push" ove il motore è lo sviluppo "in laboratorio" senza un necessario collegamento diretto con il mercato.

giovedì 12 aprile 2012

Un istante un destino

Leggo con piacere e interesse il breve inserto di  HBR dal titolo Before They Were Stars, in cui si rievocano con divertenti fotografie di archivio i primi anni di vita di alcune imprese oggi arcinote. Nella foto sotto ad esempio scopriamo gli interni di Foursquare a pochi mesi dal lancio  e vi scorgiamo i due suoi fondatori Dennis Crawley e Naveen Selvadurai al lavoro all’interno di un open space. Oggi Foursquare ha 100 dipendenti, 15 milioni di user e sedi dislocate su due continenti.

 

A seguire vediamo una foto che ritrae il gruppo di fondatori di Linekd-in assieme ai primi dipendenti nel 2004 (a circa una anno di distanza dal lancio). Come si rileva nell’articolo di HBR oggi Linked-in ha  120 milioni di membri (con un nuovo iscritto ogni 2 secondi) e circa 1500 dipendenti. Ma all’inizio del 2004, quando questa foto venne scattata per festeggiar il raggiungimento dei 500.000 utenti, lo staff era composto da poco più di una dozzina di persone, incluso i 5 fondatori (due dei quali - Allen Blue e Jean-Luc Vaillant – nella foto)


Qui una simpatica foto scattata nel 2008 in cui il fondatore di Groupon e una ventina di dipendenti si scusano pubblicamente con i propri clienti per un errore nella gestione di una promozione che al tempo aveva scatenato un bailame di lamentele.    


Infine sotto vediamo Pierre Omydar nell’estate del 1996, agli inizia della sua avventura con E-bay. Ricorda Omydar: “Jeff Skoll, il primo dipendente di e-bay nonce il suo primo president, scattò questa foto nell’estate del 1996. Quella sullo sfondo è la sua sedia vuota. A quel tempo lavoravamo all’interno di un incubatore nella Silicon Valley. Quello che si vede nella foto è tutto lo spazio di cui disponevamo, e lì spendevamo tutto il nostro tempo. Era un periodo di crescita rapida e non c’erano pause. Il nostro interrogativo ricorrente allora era “Come rimaniamo in vita?” Per diversi mesi crescemmo a un tasso del 50% al mese”.


Fotografie come queste, che documentano i primi passi nella vita d’impresa, hanno valore evocativo e simbolico. Evocativo perché catturano e sintetizzano i momenti mitici dell’inizio del viaggio, quando tutto o quasi è ancora da esplorare e ci si proietta avanti con la forza dell’entusiasmo. Simbolico perché contribuisco a creare memoria storica, conferendo alla vita d’impresa un senso di tragitto e progressione, ma senza mai perder di vista i sacrifici che sempre si accompagnano ai primi anni di vita. Sono questi gli anni della “fase formativa”, ovvero quel periodo breve (e intenso) che trascorre dalla nascita al momento in cui l’impresa incomincia ad acquisire una propria identità, a mettere  punto un business model distintivo e definire la propria cultura.


Nella letteratura di stampo accademico questa fase viene talora descritta con il termine imprinting organzzativo (per chi fosse interessato segnalo questo articolo che ho recentemente pubblicato sul tema), a richiamo del noto processo descritto per la prima volta dall’etologo Konrad Lorenz (nella illustrazione) per caratterizzare l’apprendimento che ha luogo nel prime fasi di vita degli animali e che ne plasma in modo duraturo e irreversibile il processo di sviluppo. Proprio come accade nel regno animale anche le imprese sono sottoposte a condizionamenti di tipo sociale e ambientale che ne influenzano profondamente il percorso di sviluppo e crescita.

In quelle foto apparentemente causali e ludiche è impresso un destino che ha radici profonde. 


sabato 31 marzo 2012

Se è nuovo e ti spaventa, buttati e fallo!

Ogni processo imprenditoriale che si rispetti è costellato di dubbi. Tra questi ve né uno che probabilmente li batte tutti e che costringe a non pochi ripensamenti, patemi, esitazioni, notti insonni. Ci provo oppure no? Mi butto rinunciando a tutto il resto (o quasi)? Premesso che questo cruccio tende a essere tanto più significativo quanto più è alto il costo opportunità, ovvero quanto maggiore è ciò a cui si dovrà rinunciare per mettersi in gioco, la decisione di “fare impresa” è sempre (più o meno) destabilizzante e pone inevitabilmente di fronte a un bivio. Come scegliere? Quale criterio usare per decidere?  E soprattutto, esiste un criterio generalizzabile?

Oggi vorrei cimentarmi con questa grande domanda imprenditoriale/esistenziale condividendo con voi una piccola euristica (regola) decisionale che seguo ogniqualvolta devo confrontarmi con una scelta difficile (e che mi spaventa un po’). Non si tratta solo di una opinione personale ma di una serie di semplici principi elaborati nel corso di 20 anni di ricerca dal grande psicologo sociale Abraham Maslow (meglio noto per la omonima e stra-citata “piramide”).

In breve, Maslow  ha dedicato buona parte della propria vita d scienziato allo studio dell’autorealizzazione Ovvero all’analisi di comportamenti, azioni e decisioni tipiche di persone che riescono a trovare senso, direzione e motivazione nella propria vita. I principi fondamentali sono semplici e immediati e personalmente non mi hanno mai tradito. In estrema sintesi si possono tradurre nel seguente mantra:


Se ti spaventa, buttati e fallo!

Ogni qualvolta siamo posti di fronte a una vera scelta ci troveremo ad un bivio. Da una parte la strada più sicura e confortevole. Dall’altra quella rischiosa e faticosa. Quest’ultima è quella che ci permetterà di imparare e apprendere di più e dunque è quella che dovremmo sempre scegliere.


Mi perdonino i cultori di Maslow per il mio iper-riduzionismo ma questa è la lezione più forte che ne ho tratto e che continua ad essere per me fonte di ispirazione. L’autorealizzazione è fondamentalmente un percorso di scoperta  e apprendimento che passa attraverso le strade più impervie. Sono queste però le strade che riveleranno gli scorci più emozionanti. Maslow articola questo principio in 8 punti che vi riporto, sperando che vi aiutino nel risolvere i vostri dilemmi imprenditoriali/esistenziali (oltre a invogliarvi a riscoprire un classico della psicologia!):
·         Vivi le cose pienamente, vividamente e senza egoismo. Buttati anima e corpo nell’esperienza di qualcosa in cui credi: concentrati su di essa completamente, lascia che ti assorba nella sua totalità
·         La vita è un processo continuo di scelta tra la sicurezza (derivante dalla paura e dal bisogno di difesa) e il rischio (per il bene del progresso e della crescita personale): scegli la crescita 10 volte al giorno!
·         Lascia che il tuo io emerga. Cerca di tacitare le voci esterne circa quello che “si dovrebbe” fare, sentire, dire etc. e lascia che sia l’esperienza a guidarti verso ciò che realmente senti e desideri esprimere.
·         Quando sei nel dubbio sii onesto. Se guardi dentro di te con onestà assumerai responsabilità. Prendere responsabilità è prendere coscienza della propria identità.
·         Ascolta i tuoi gusti personali e sii pronto a essere impopolare.
·         Usa la tua intelligenza e impegnati per fare bene le cose a cui tieni, non ha importanza se appaiono insignificanti
·         Aumenta la probabilità di vivere picchi esperienziali: liberati da illusioni e false nozioni. Impara in cosa sei bravo e quali sono e non sono le tue potenzialità.
·         Scopri chi e cosa sei, cosa ti piace e non, che cosa è buono e che cosa è cattivo per te, dove sei diretto e il tuo scopo. Aprirsi a sé stessi in questo modo significa identificare le proprie difese per poi trovare il coraggio di abbassarle.

Buona scelta!

mercoledì 28 marzo 2012

Italian Beauty e Innovazione

Desidero segnalarvi che il prossimo appuntamento con il brainstorminglounge, la bella iniziativa a supporto della cultura imprenditoriale ideata da Massimo Bocchi e Bruno Iafelice avrà luogo domani alle ore 18 presso la sede della CNA di Bologna. Titolo dell’incontro “Italian Beauty e Innovazione: un mix vincente per startup di successo”. 


Trvate tutti i dettagli su location e registrazione qui: http://blounge3.eventbrite.com/
Come tradizione seguirà al panel un rinfresco. Ottima occasione per scambiare idee e stringere nuove relazioni degustando un buon bicchiere vino. 

martedì 20 marzo 2012

Open Government, open data, empowered citizenship

Vorrei dedicare qualche riflessione al concetto di OpenGovernment, un fenomeno che sta prendendo sempre più piedi in giro per il mondo e che suggerisce un ripensamento importante del modo in cui la cittadinanza può diventare parte attiva dei processi decisionali governativi, siano essi a livello municipale, regionale o statale. Si tratta di un nuovo concetto di governance incentrato su tre parole chiave: trasparenza, collaborazione partecipazione. In pratica l’Open Government è l’apertura delle pubbliche amministrazioni e più in generale delle entità governative agli input, le idee e le competenza della cittadinanza, attraverso internet e piattaforme di partecipazione collaborativa, sul modello del crowdsourcing.

Negli USA questa filosofia  ha trovato espressione, tra l’altro, nel progetto Data.gov, un sito che raccoglie tutti i dati (non protetti da segreto di stato) prodotti da enti governativi statunitensi rendendoli disponibili a chiunque. Ad oggi sono oltre 300,000 i dataset messi a disposizione! Immaginate ora le opportunità di innovazione che possono scaturire da un uso intelligente di questa enorme mole di informazioni da parte della comunità. Il sito riporta attualmente 300 apps sviluppate da cittadini negli ambiti più disparati. Attraverso l’applicazione di tools di data mining, reti neurali e algoritmi di elaborazione sono nate una serie di iniziative che sfruttano questa enorme massa di dati offrendo soluzioni in campo sanità, educazione e energia.  

Un altro progetto interessantissimo ispirato alla stessa filosfia è Code for America, un ente non profit che abilita l’intelligenza collettiva al fine di migliorare l’efficienza e l’efficacia di servizi governativi di varia natura, come brillantemente spiegato in questo video dalla sua fondatrice Jennifer Pahlka:



Un altro caso interessante è challenge.gov, una piattaforma per il crowdsourcing di idee per migliorare l’efficienze delle pubbliche amministrazioni. Esperienza simile è quella di Chicago con la piattaforma GiveaMinute.com. In pratica una interfaccia attraverso cui la municipalità chiede suggerimenti per risolvere problemi specifici e i cittadini sono invitati a offrire le proprie soluzioni. Sulla scia dell’entusiasmo per queste iniziative anche altri paesi si stanno muovendo. Ad esempio il Regno Unito con data.gov.uk  o anche l'Australia. Per quanto riguarda l’Italia, alla data 18 Ottobre 2011 il portale dati.gov.it è stato messo on line sebbene vada rimarcato che  quanto a e-goverment, il nostro paese  nelle classifica internazionali rimane dietro a Uruguay e Lettonia (38° posto!). Ma qualcosa si muove. Alcune regioni (come il Piemonte) sono particolarmente attive su questo fronte e incominciano a farsi strade alcune startup che cercando di fare propria la filosofia dell’open government, traducendola anche in modello di business.


Fra queste desidero menzionare comuni-chiamo, startup nata a Bologna ad opera di Jason Boon,  Matteo Buferli e Gilberto Cavallina con l’obiettivo di  permettere ai cittadini e gli amministratori locali di collaborare alla risoluzione dei problemi del territorio in cui vivono. Missione impossibile? Non per gli imprenditori!

lunedì 12 marzo 2012

Giovani startupper italiani

Leggo con sollievo e soddisfazione di questa mini inchiesta del Corriere sulle nuove startup italiane. Il sollievo nasce dal vedere incorporati concetti come il fallimento all'interno dei percorsi di creazione d'impresa senza la solita stigmatizzazione sociale che comunemente si attribuisce al "fallito" (che, guarda caso, nell'utilizzo comune è un termine derogatorio). La soddisfazione nasce dal constatare come si stia diffondendo l'idea di tentare delle web-based startup in virtù dei minori costi di avvio e dal promuovere la creazione d'impresa come alternativa ad un lavoro dipendente se non, in alcuni casi, come scelta (controcorrente) di vita, guidata da una spinta vocazionale ed estremamente volitiva.
Forza ragazzi!

giovedì 23 febbraio 2012

"Siamo nella merda", by Oscar Farinetti

Ogni volta che mi capita di partecipare a uno speech di Farinetti esco galvanizzato. E’ acuto, ironico e creativo. Mi sono imbattuto recentemente nella sua esortazione al fare impresa, come risposta possibile alle condizioni di precarietà e incertezza a cui sempre più chi entra oggi nel mondo del lavoro dovrà adattarsi. Farsi imprenditore è una strada. Non l’unica ovviamente, ma certamente una possibilità a cui pensare, se lo si sente dentro almeno un po’. Ecco qua il Farinetti pensiero. Enjoy.


Oscar Farinetti from Progetto Marzotto on Vimeo.

giovedì 16 febbraio 2012

Creare occupazione tramite immigrazione: una proposta americana

Il Kerry-Lugar-Udall Visa Bill è una proposta di legge discussa da un po' di tempo al Congresso che ha l'obiettivo di favorire l'ottenimento di visti come imprenditori da parte di stranieri che abbiano volontà di intraprendere un percorso imprenditoriale sul suolo statunitense. Se la proposta passasse si creerebbero ulteriori forme di agevolazione all'immigrazione per mezzo di un principio chiaro e condivisibile: il governo concede il visto a patto che l'impresa sia volta a creare nuovi posti di lavoro in loco e che vi sia il coinvolgimento di un'entità finanziatrice locale.
Questo principio non solo fa eco alle parole di Obama espresse durante il discorso sullo Stato dell'Unione, ma riflette anche numerose iniziative intraprese dai singoli stati confederati per incentivare la (ri)localizzazione di sedi produttive negli USA in cambio di incentivi fiscali e supporto infrastrutturale.

L'immigrazione, paiono dirci dagli USA, è una fonte di ricchezza per lo sviluppo dell'economia.
D'altronde la storia americana cos'è se non una grande narrativa di immigrazione?

martedì 14 febbraio 2012

Italy: start-up nation!

Vi segnalo l'incoraggiante articolo di Riccardo Luna apparso oggi sulla prima pagina di Repubblica.it. Vi si dipinge (una volta tanto!) un quadro ottimistico e galvanizzante per il nostro paese in cerca di innovatori e capitani coraggiosi. Il mondo italiano delle internet startup è in fermento e i casi di successo incominciano a suseguirsi con una certa regolarità.



Mi ha particolarmente colpito l dato prodotto dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza. Nel 2012 ci sarà uno storico sorpasso: i ventenni che apriranno una impresa (19 mila) saranno di più di quelli che troveranno un posto di lavoro a tempo indeterminato (18 mila)! Non male in un contesto in cui da più parti ormai (il nostro Presidente del Consiglio in primis) si sta cercando di sfatare il mito del posto fisso.

sabato 4 febbraio 2012

FULBRIGHT BEST

Segnalo che manca poco più di 1 mese alla scadenza del bando Fulbright-BEST (29/2/2012).
Ricordo che questa splendida iniziativa ha la finalità di stimolare l'imprenditorialità innovativa, offrendo a chi ha un'idea tecnologica e spirito imprenditoriale, l'opportunità di di frequentare corsi di formazione o specializzazione imprenditoriale presso università statunitensi e di svolgere un periodo di tirocinio presso una start-up americana.



Trovate tutti i dettagli qui. In bocca al lupo!

mercoledì 18 gennaio 2012

Imprenditoria come creazione di una domanda

Colgo l'occasione di questo post per augurare un buon 2012 a chi ci segue.
Durante la pausa natalizia ho avuto l'occasione di incontrare un imprenditore piuttosto singolare nel panorama italiano, Chris Angiolini. Chris è il fondatore della Bronson Produzioni, un'impresa che si occupa della gestione e programmazione dell'Hana-Bi, del Bronson, del Fargo e di una serie di festival musicali nel ravennate. Appassionato di musica alternativa (hardcore e punk, principalmente), abbandona ingegneria aeronautica dopo aver superato, con successo, 13 esami per dedicarsi alla sua passione. Dopo svariati tour europei, qualche disco prodotto e distribuito in totale spirito DIY e una breve esperienza come proprietario e gestore di un negozio di dischi, Chris decide di fare una professione di quel che fino ad allora aveva fatto saltuariamente per guadagnare qualcosa in più: dj e organizzatore di feste con musica dal vivo. Non passa molto tempo quando l'opportunità di rilevare la gestione dell'Hana-Bi (un bagno con struttura ricettiva organizzata) si presenta e Chris la coglie al volo. La Ravenna (e dintorni) di cui parliamo è una cittadina con una tradizione di sottocultura alternativa costante, tuttavia disomogenea e disorganizzata. L'intuizione di Chris è quella di permettere a chi si identifica in questo movimento di avere uno spazio in cui poter partecipare ad eventi musicali (dj set e concerti). In aggiunta: in un luogo molto rischioso, la riviera romagnola, simbolo di una cultura giovanile sostanzialmente differente, fatta di musica techno, dance e sballo. Per di più in spiaggia, che nell'immaginario collettivo della gioventù rappresenta il luogo in cui riposarsi dopo una nottata di bravate o, agli antipodi, lo stereotipo della famigliola con prole. Chris mi confessa, con una punta d'orgoglio e ironia, che molte delle persone diventate assidue frequentatrici dell'Hana-Bi non erano mai andate in spiaggia, né si sarebbero mai sognate di farlo.



In breve tempo l'Hana-Bi diventa un luogo importante nella scena musicale live alternativa/indipendente in Italia, nonché tappa di riferimento per svariati artisti internazionali (alcuni dei quali diventeranno fenomeni mondiali, vedi The National, Gossip ad esempio). È qui che Chris si accorge di aver "creato" un pubblico e inizia ad interrogarsi riguardo le possibilità di sviluppare ulteriormente questa comunità. Così nasce il Bronson, contraltare invernale dell'estivo Hana-Bi, che permette di mantenere una continuità di proposte musicali e culturali rivolte alla collettività di riferimento (che nel frattempo continua a crescere).


È da un'altra intuizione di Chris che nasce il Fargo, caffè in stile "a metà fra il marocchino e lo scandinavo", teatro di piccole sessioni acustiche e reading di letteratura: "mi sono accorto di aver confinato la mia attività alle esatte estremità della città. Mancava un luogo di incontro e di confronto che permettesse a questa comunità di ritrovarsi in città, nel cuore della città". Così apre il Fargo e non sorprende che quella parte di città fino ad allora piuttosto negletta, improvvisamente viva un fermento nuovo con l'apertura di altri caffè, ristoranti e attività commerciali.



Nel frattempo Chris, investendo sul continuo sviluppo del pubblico, organizza festival musicali tematici (Transmission, Weird Tales).

Quella che può apparire un'ossessione, la creazione di diversi brand, riconducibili a diversi eventi, dietro ai quali lavora la stessa organizzazione, è in realtà il contributo più interessante all'idea imprenditoriale di Chris: tramite la creazione di brand-eventi il pubblico partecipa ad un'esperienza che assume unicità. La condivisione di un'esperienza con una collettività aumenta il valore percepito dell'esperienza stessa e ne conferisce un'aura di mito. È esattamente il motivo per cui, negli ultimi anni, si è visto il fiorire di svariati festival musicali estivi in zone più o meno remote (Coachella, Reading, Pukkelpop e così via) in cui la comunità di appassionati è fortemente fidelizzata e viaggia, ad esempio - nel caso di Coachella, per ore nel deserto californiano per vivere in una sorta di accampamento per tutta la durata del festival.
È possibile che seguano ulteriori riflessioni su Chris in successivi post.