mercoledì 25 giugno 2014

Il dilemma della crescita ovvero come ringiovanire un settore maturo con un pomodoro maturo

Negli ultimi anni faccio spesso la seguente domanda ai miei studenti dell’Executive MBA: quante delle business unit in cui lavorate in questi anni di crisi hanno subito dei tagli di budget? Dopo la prima reazione di risate nervose circa l’80% alza la mano. A questo punto chiedo: quante di queste business hanno visto il budget crescere? Altra risata, ma questa volta a nessuno alza la mano. Poi dopo tipicamente chiedo: chi è responsabile dei tagli di budget? La risposta più ricorrente: la funzione finanza.


Questo quadretto illustra una trappola in cui  cascano molte organizzazioni quando il gioco si fa duro: scegliere un approccio difensivo, orientato nel migliore dei casi alla stasi e più tipicamente al taglio indifferenziato di costi. E sfortunatamente la funzione che viene preposta alle decisioni di razionalizzazione non sa cosa vogliono i clienti, non è in altre parole consapevole delle opportunità di mercato. Perché parlo di trappola? Perché se c’ un risultato ricorrente negli studi che si occupano di crescita è che a ri-partire forte quasi sempre sono le imprese che hanno avuto la fermezza/coraggio di investire in periodi di recessione. Questo non significa che la ripartenza a fronte di una situazione di crisi debba passare necessariamente attraverso una strategia aggressiva di investimento. Il punto non è questo. Il punto è che per ripartire bisogna saper cogliere delle nuove opportunità, dunque bisogna essere pronti a redistribuire le risorse, giocando simultaneamente in difesa e in attacco.  O in altre parole investendo meno (tagliano attività che non aggiungono valore) per investire di più – sostenendo attività che possono alimentare nuove opportunità.

Il problema è che perseguire nuove opportunità non è facile, perché spesso richiede una qualche forma di discontinuità con il passato,  scelte inedite e assunzione di rischio.  E come ben sappiamo le imprese non sono naturalmente predisposte  a ripensare ai propri modelli di riferimento.  Cito un caso che ho approfondito recentemente quello della Mutti SPA l’azienda di Parma che produce pomodori in scatola, passata e concentrato di pomodoro. Tra la fine degli anni 90 e il 2012 l’azienda è passata da circa 11M a 185M di fatturato. L’inizio di questa cavalcata ha corrisposto con l’ingresso di Francesco Mutti alla guida dell’azienda creata dal suo bis-nonno.
  

In un settore sostanzialmente maturo, caratterizzato da concorrenza feroce sui prezzi, schiacciato dalle etichette private label dei grandi supermercati,  Francesco (con buona dose di coraggio) ha investito,  e lo ha fatto in controtendenza rispetto all'approccio dominante. Invece che abbassare i prezzi ha puntato sulla qualità. In una industria in cui i produttori cercano di spuntare i prezzi più bassi possibili dai coltivatori Mutti ha incominciato ad offrire un premium per pomodori di qualità superiore. Ha chiesto ai coltivatori di ritardare la raccolta di 5 giorni per avere pomodori più maturi e saporiti senza dover aggiungere dolcificanti. Il premium compensa i coltivatori per il grado di rischio superiore che si assumono. Poi ha istituito un riconoscimento “Il pomodorino d’oro” per premiare i produttori migliori e celebrare la cultura della qualità. Questi momenti di celebrazione divengono inoltre  occasione per disseminare buone pratiche nel campo dell’agricoltura di precisione  e altre tecniche green. 

Questi (e altri) accorgimenti hanno permesso all'azienda non solo di crescere ma di riuscire in un obiettivo, come Francesco Mutti  ha recentemente dichiarato, in cui non credeva nessuno. Far emergere un brand da un settore altamente commoditizzato come quello della polpa di pomodoro. 



La storia di Mutti sembra confermare il vecchio adagioNon esistono settori maturi ma solo manager maturi!